CRITICAL TEXTS

L’accadere della vita, nelle storie di Anna Maria Tani
Paola Simona Tesio
L’essere femminile conserva in sé il rapporto con la natura. Il sospiro atavico dell’esistenza pulsa in lei come reminiscenza e presenza. Il termine donna, dal latino dŏmĭna indica una figura forte, anticamente era ascritto alla “signora”” o “padrona”, la cui essenza era comunque percepita come dominante. Potremmo ascriverla ad una leggiadra figura dal temperamento indomito, che non si lascia sconfiggere dalle asperità ed avversità della vita. Nei miti rappresenta il rinnovamento, legata indissolubilmente alla Terra, ai cicli di trasformazione, dalla nascita alla morte e al risveglio. Superamento, forza, speranza, tenacia, sono solo alcune delle dinamiche e caratteristiche che spesso ne accompagnano la natura.
Nelle opere di Anna Maria Tani, l’eterno femmineo è onnipresente: è la traccia simbolica, configurazione poetica ed estetica, struttura intrinseca. La Donna archetipa (arché “originale”, tipos "modello", "marchio", "esemplare”) ne rimane intessuta come immagine, implicita od esplicita che sia, ne abita le trame, conservando quell’aulica forma autentica e primordiale. Jung definiva l’archetipo femminile anima o animus a seconda della sua collocazione: «L’Anima è la figura che compensa l’energia maschile. L’Animus quella che compensa l’energia femminile» precisando che: «Tutto quello che l’Anima tocca diventa luminoso, cioè assoluto, pericoloso, soggetto a tabù, magico; in quanto vuole la vita, l’Anima è conservatrice e si attiene in modo esasperante all’umanità antica».
Anima che pervade ogni singola creazione di quest’artista, che crea trattenendo della donna la sua natura istintiva, psicologica, libera e sapiente. Nel farsi della sua pittura ella diventa custode di storie, antiche e moderne, passate e presenti. Nella sua estetica, l’artista carpisce i frammenti delle storie e ne intesse nuova vita, rielaborando il vissuto mediante forme e colori.
Nelle serie “Intrecci” le stoffe si conformano in altre presenze, si fanno trama ed ordito, incontrandosi e compenetrandosi. Materiale sedimentato, oblio che talvolta riemerge, speranze, aspirazioni. Reti che avviluppano o lasciano intravedere, pulsioni consce ed inconsce, che si snodano in un reticolo di emozioni. È la stessa Tani a svelarci parte del loro arcano contenuto: «Ogni mia opera è un sogno, non sempre riconoscibile come tale neppure da me, almeno non immediatamente. Le guardo e le riguardo … lascio passare tempo impegnandomi in altre tele. Assaporo la loro presenza nel mio studio, aspetto la luce di ogni ora che si posa su di loro per coglierne la diversità. Sovrapposizioni di colori ed intrecci di stoffe dal sapore antico, creano nuovi sogni… poi li riconosco miei totalmente e sono la somma dei miei anni passati a “gustare” l’Arte dei grandi maestri … ad imparare da tutti e da me stessa, a maturare, mutando il gesto, il colore, la materia … sognando». I sogni, del resto, sono storie, intime, sussurrate. In questo caso rappresentano ideali, la tensione verso una meta, la datità dell’opera che si rivela come memoria ed esistenza. I sogni sono anche un fenomeno onirico, narrazione interiore ed inconscia che è la somma di quanto abbiamo vissuto ed assorbito, rielaborato attraverso i nostri impulsi. Sigmud Freud ne “L’interpretazione dei sogni” diede avvio ad un’intensa indagine su questi fenomeni affermando che: «Il sogno è la via maestra per esplorare l'inconscio». Oggi sappiamo che i caratteri ed i flussi di sogno possono contribuire a fortificare il concatenamento e il consolidamento della memoria semantica che riguarda la conoscenza sulle cose del mondo. La materia dei sogni di cui sono intessute le opere della serie “Intrecci” è un’intensa conformazione che trasferisce in concreto sulla tela la conoscenza astratta delle cose del mondo. Negli slanci di colore e nella forma ondulata di una stoffa si evince comunque la speranza. Questa lettura è solo una delle innumerevoli possibili in quanto l’opera è sempre un orizzonte aperto, in cui si sommano gli sguardi di chi crea e di chi guarda, e l’impressione diventa molteplice.
I fiori, metafora della caducità umana, ma anche della sopravvivenza e della rinascita vengono ideati in estatiche e sentite composizioni e fanno parte dei lavori “Sentieri geografici”. Opere di rara bellezza, in cui si fondono armonia e tensione emotiva: nell’ ensemble il colore si incontra con carte pregiate e veline, lettere antiche e mappe geografiche. Ritroviamo così nei petali alternanze simboliche, scritture portatrici di vicissitudini passate, colature cromatiche, struggimenti interiori, riflessioni sull’ambiente e sulla sua profanazione da parte dell’uomo.
Le metropoli di Anna Maria Tani suscitano molteplici sensazioni, sia per la straordinaria varietà delle tecniche con cui vengono realizzate, sia per la valenza simbolica e concettuale. Sono un crocevia di implicazioni, che si snodano tra strade e percorsi. Sottolineano il rapporto dell’uomo con l’ambiente in cui vive. Gli spazi di un grattacielo si fanno talvolta soffocanti, in quanto si sostituiscono totalmente alla natura. In quelle costruzioni che si tramutano in reticolati, come nell’opera “City Line” è percepibile una sensazione di estraneità fra gli individui, assenti ma presenti, isolati nella propria artificiale esistenza. Si assise al paradosso della modernità che schiaccia l’umanità stessa che l’ha creata. Il cielo si fa acido, quasi a sottendere un’aria satura di inquinanti. Le metropoli però riconducono anche alla storia dell’uomo, l’antica torre di Babele, innalzata nel tentativo di toccare la volta celeste: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco. Costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo». Tuttavia vennero fermati a causa della loro presunzione nel volersi sostituire a Dio. La loro unica lingua fu confusa in innumerevoli idiomi. Le narrazioni antiche, qui lette senza alcun riferimento religioso, possono fornire spunti interessanti. Il filosofo George Steiner sin dalle conferenze del 1970 confluite successivamente nel saggio “Nel castello di Barbablù” ispirandosi all’omonima fiaba, investigava la capacità umana di aprire una porta dopo l’altra. Una metafora che pone una questione etica rilevante: se valga davvero la pena aprire l’ultimo chiavistello, pur sapendo che il progresso indiscriminato porterà l’uomo alla sua distruzione. Nei recenti lavori di Anna Maria Tani troviamo un’interrogazione analoga, che ispira altresì il titolo di un’opera: «E se il sole muore, che ne sarà di noi?». Vediamo metropoli aggreganti e distruttive che divengono prigioni in cui le linee delle strade e dei quartieri visti dall'alto si tramutano in graffi ed incisioni profonde. Per l’artista, anche in questo caso, la rinascita è insita nella forza delle donne, a cui fa costante rimando. Il femmineo dona intuito e percezione e consente di riparare le ferite del corpo e dell’anima. Le stoffe antiche cariche di storia, trattengono l’esperienza del passato e si conformano in divenire. Una pittura concreta che si va voce, che ci aiuta a non abbassare lo sguardo, volgendolo verso un orizzonte gravido di rinascita. L’arte della Tani è un insegnamento per tutti coloro che hanno smarrito la strada, che cercano risposte ai loro interrogativi irrisolti e ai loro enigmi interiori. È superamento, forza, vita.
20/08/2019
COFFEE AND CHICKEN, IL GIOCO DELL’AMORE
Fabiana Dantinelli
Moka e Pollo, non è la strana coppia di un fumetto, né l’invenzione stravagante di un romanzo surreale, piuttosto l’accoppiata ironica e brillante di un’artista animata da un continuo e prolifico movimento creativo: Anna Maria Tani.
I lavori esposti quest’anno a Venezia presso il palazzo Molino Stucchi, sono infatti un sobrio mix materico, da sempre caratteristica creativa della Tani, (fra l’altro preziosa eredità della sua formazione in botteghe artigiane), i quali ci offrono una lettura“kitchen” spiritosa e deliziosamente femminile dell’incontro. Ecco allora i lunghi grattacieli-pettine della serie Metropolis trasformarsi in sbilenche caffettiere dall’aria distratta e irresistibile, in un gioco di specchi e rimbalzi con il “pollo”, quasi un curioso scrutarsi a vicenda nel tentativo di capirsi, mettendosi anche all’occorrenza perfino “sottosopra”, come in The Chicken upside down. Sembra quasi sia di scena un grazioso divertissement, lungo appunto lo spazio di un Coffee Break, dove queste Lady-Caffettiere che paiono in equilibrio precario, ma in realtà leggiadre come ballerine, si mostrano vanitose all’impacciato avicolo, suggerendo un’acuta metafora sull’approccio. Le superfici sono pulite, chiare, dai riflessi perlacei, riempite unicamente dalle curiose geometrie dei soggetti, mantenendo quello spirito astratto che ritroviamo in diversi lavori dell’artista. Immancabili i cartoni ondulati, elemento ricorrente, qui coloratissimo e vivace, circondato da una traccia corvina la quale più che definire, sembra volersi volutamente perdere lungo lo spatolato, con manici che diventano braccia affusolate lungo i fianchi e coperchi-cappelli da cui sfuggono ciocche capricciose. Ma se le signorine-moka vagamente entomologiche che forse non sarebbero dispiaciute a Landolfi, osservano dall’alto imperiose a affascinanti, non è da meno neppure il Butterfly Chicken, così dolcemente attratto dallo studio di queste curiose creature, ora vicino, ora al rovescio, ora voltandosi fintamente disinteressato, ma infine avvinto dal piacere del caffè.
Sono questi alcuni degli originali abitanti dei mondi artistici della Tani, universi espressi sulla tela dove l’antico si fonde col moderno, in un continuo richiamo di lettere, segni, squarci di colore che come ferite aperte colano sull’anima, grattacieli, fortezze, torri incantate d’ispirazione klimtiana, ma anche esplosioni di toni caldi come vivide manifestazioni del sogno, fiori dalla bellezza selvaggia, che sembrano indicarci il sentiero verso la libertà interiore.
La Tani dunque ha ancora una volta confermato la sua straordinaria capacità di realizzare opere non solo di grande impatto visivo, ma di innegabile suggestione, in grado di crearsi quasi autonomamente una propria ragion d’essere, tanto in spazi espositivi, quanto in ambienti privati. L’estrosità d’altra parte che la contraddistingue sin dagli esordi, l’ha portata ad un continuo sperimentare di forme e stili, raccontandoci viaggi emozionanti e quotidianità, talvolta piena di vita, talaltra vissuta, incendiata, decadente, ma non per questo meno interessante. Dall’incisione, alla calcografia, dalla pittura alla lavorazione della materia, ogni tecnica esplorata nella lunga carriera di Anna Maria Tani, che l’ha inoltre vista protagonista di prestigiosi eventi nazionali ed internazionali, l’ha portata a plasmare progetti artistici in continua evoluzione, come d’altra parte la stessa serie dei “Coffee and Chicken”, dove la promessa di un futuro “affair” è solo accennata. Questa la grande forza dell’arte eclettica della Tani, il suo riuscire incessantemente a reinventarsi, anche con leggerezza e humor, navigando lungo le instabili coordinate del sentire, ma custodendo infine la rotta verso rinnovati e sorprendenti lidi creativi. Se infatti in quest’ultima serie non è visibilmente manifesto il noto assemblaggio di materiali, né la ricchezza degli elementi a cui la Tani ci ha abituati, allo stesso modo la lettura di questo raffinato gioco dell’amore è carica di sfumature interpretative assolutamente originali, laddove il tenero tentativo di conoscenza può idealmente essere rintracciato in una cucina, luogo solo apparentemente “neutro”, nella sua colorazione nivea appena attraversata da riflessi opalescenti, ma in realtà noto terreno di incontro-scontro e seduzione, dove i colori accesi del pollo e della caffettiera spiccano vivacemente, ammiccando ad un amabile duello.
Cosa accadrà infine fra questi strani amanti non è dato sapere, di certo l’improbabile appuntamento non potrà che essere l’incipit di un nuovo percorso artistico, destinato come i precedenti a riservarci piacevolissime sorprese.
19/07/2018
Perché anche l’anima si strappa
Fabiana Dantinelli
Capita non di rado che si senta dire di anime strappate, gualcite, maltrattate da strani malesseri senza nome, o peggio con ingarbugliati titoli clinici sconosciuti ai più, di cui tristemente riusciamo infine a cogliere solo le sofferte, talvolta inevitabili conseguenze. Non di rado queste anime lacere e tormentate sono quelle degli artisti, spesso alla ricerca di nuovi percorsi, strade alternative, sempre in bilico lungo tracciati espressivi di cui forse non saranno mai pienamente soddisfatti. E di “strappi”, non solo in senso metaforico, si parla anche in questo nuovo iter artistico della Tani, ancora una volta però dalla lettura sorprendentemente originale. Perché sì lo strappo c’è, manifesto, però attraverso lunghe strisce di lenzuolo squarciate con veemenza, quasi in un gesto liberatorio, al suono di un taglio che ricorda anche quello di uno schiaffo, lo schiaffo alla vita, ad un sudario che non vuole farsi straccio di un anima che si spegne, anzi. Sta in questo l’originalità della recente espressione artistica della Tani, perché le strisce di questi scampoli dal sapore antico, come tirati via dai cassetti per gonfiarli di nuova aria, nuova vita, sono colorati, coloratissimi. Scorrono vivaci lungo le belle tele dalle dimensioni disuguali, né come sbarre né come bende, ma piuttosto come strade sottili, che ci portano da qualche parte, dentro paesaggi intimi e affascinanti. Sono donne queste strisce dalle tinte accese, come la “Miriam”, l’eroica profetessa sorella del patriarca Mosè, o la divina “Diana”, signora delle selve, ma anche custode delle partorienti, donne che corrono sulla superficie di trame innegabilmente streganti, corrono, saltano, inciampano, si spezzano, ma poi si riallacciano, si riannodano, continuano, nonostante tutto. E’ quasi un inno alla forza femminile la serie “The sound and colours” e forse queste strisce dai nomi profumati: “Erica”, “Neve”, “Rosa”, “Ginevra”… Sono corde che legano in “sorellanza” anime di regine, madri, amiche, confidenti dalla bellezza profonda, intelligente, viva, una bellezza colorata, eterna, ineffabile, che sa sempre rigenerarsi, mai uguale a sé stessa. Perché sì l’anima si strappa di quando in quando, ma poi si ricostituisce, rinasce, si colora è il caso di dire, di nuova vita. Ecco che allora questi nastri stracciati vengono a ricomporsi ancora una volta sulla tela, vestendosi di forme rinnovate, cambiando pelle, ma non abbandonando mai del tutto la vecchia, con il suo carico di preziosi insegnamenti. Nasce così la serie “Mosaico”, dove quelle fasce antiche incontrano, nel caldo della mano d’artista, la linfa ritemprante della pittura e nella stretta del pugno, anche rabbiosa, ma mai intrappolante, infine si liberano o librano, ancora una volta piene di giallo, azzurro, verde, fucsia… Quasi un’esplosione benigna di cellule, un big bang tutto interiore pronto a ricostruire un altro nucleo vitale. Sono nuovi frammenti, stavolta quadrati e rettangolari, che vanno a ricomporre sulla tela appunto un mosaico, come tante tessere multicolori, fotogrammi di vita varia, momenti di tristezza e gioia, dolore e rinascita, che vogliono orgogliosamente ricucirsi, senza vergogna di mostrare le cicatrici, quei segni sull’anima dove trovano nascondiglio le nostre emozioni. Eppure non pesano questi tasselli di vissuto, sono leggeri come farfalle, anche laddove le tinte si fanno più forti, ma formano piuttosto un enorme drappeggio che si distende sui destini di quelle silenziose protagoniste, in uno stile vagamente klimtiano (il lenzuolo del Bacio), pronto ad accogliere nuove passioni, sentimenti, amorevoli carezze di figlie, teneri dialoghi materni, promesse d’amicizia. La grande tela dell’esistenza che continua ad essere tessuta, non a caso dalle tre grandi Parche, donne anch’esse, le ineluttabili Moire figlie di Zeus, instancabili filatrici di fati umani, si ritrova con splendida grazia in questi ultimi lavori di Anna Maria Tani, dove la stessa ricerca di materiali “poveri”, quali stoffe di cotone e acrilico, vuole in fondo rimarcare la genuinità di questa femminea sostanza, in grado di avvolgere sempre e comunque, nel bene e nel male, la vita. La Tani si riconferma dunque straordinaria pittrice, così originalmente prolifica, in grado di offrirci in versione astratta una metafora artistica dal denso carico interpretativo, laddove il sudario del perduto si trasforma nel manto della consapevolezza, di donna in primis, ma anche e soprattutto di artista.
18/06/2017
Nota Critica all'opera "Waeve numero 052"
Marco Baranello
Anna Maria Tani è come se ci esortasse a trasformare il bi-dimensionale in più dimensioni, a guardare il mondo da nuove prospettive. L’opera esprime così un processo di transizione da un’arte contemporanea storicizza è ben impressa nell’esperienza di ognuno a un’arte “da toccare” multi-sensoriale e multi-dimensionale. L’artista ci parla di una nuova direzione, sta intravedendo un futuro che ben presto supererà i confini delle tre dimensioni, cogliendo quelle teorie quantistiche di estrema attualità come la teoria delle stringhe. Le sue tessiture sono i filamenti (stringhe) con i quali sembra essere cucito l’intero universo. Anna Maria Tani ci sta abituando alla trasformazione! Weave numero 05 diviene così un’opera di un’estrema e suggestiva attualità, in grado di offrire spunti molto interessanti per chi ama “vedere oltre”, anticipare i tempi, cogliere nel presente i segnali del prossimo, inevitabile e ambizioso, futuro.
17/05/2016
L’INCISIONE. Tra tradizione e sperimentazione
Alba Balestra
Per capire in profondità il valore di un’opera d’arte, probabilmente il modo migliore è osservare l’artista immerso tra i suoi strumenti.
È interessante osservare Anna Maria Tani tra sgorbie, lastre, punteruoli, colori, torchi, incidere segni, campiture, mescolando tradizione e sperimentazione, per creare mondi impensati e straordinarie costruzioni d’immagini.
Grande la perizia tecnica che le permette di incidere immagini sempre più articolate e stratificate, caratteristiche del suo mondo poetico.
Probabilmente è necessario anche un luogo attrezzato dove realizzare le proprie potenzialità espressive, e la Tani lo ha trovato nell’Atelier 50, dell’Associazione Internazionale Incisori, che da più di 30 anni ospita artisti provenienti da varie parti del mondo, che si confrontano, ed esaltano differenze, tecniche culturali ed espressive.
Dove si insegnano le tecniche tradizionali ma si diffondono le esperienze dei grandi maestri della grafica come Hayter, Friedlander, Goetz, e attraverso Licata, Rina Riva, Nicola Sene che hanno determinato la caratteristica di lavorare insieme, mescolare tradizione e sperimentazione, confrontare linguaggi alla ricerca di nuovi orizzonti espressivi, dove l’esperienze di uno possono diventare l’esperienze di tutti.
Ed Anna Maria Tani sa cogliere di ogni tecnica gli elementi più significativi per esprimere la propria creatività, come è ben evidente nelle sue opere. Apprezziamo ancora di più il lavoro della Tani che non teme di confrontare e comunicare la propria esperienza su una rivista così prestigiosa, perché le riviste d’arte difficilmente pubblicano opere incisorie, la cui diffidenza è rafforzata dalla mancanza di conoscenza e informazioni specifiche delle tecniche. Ci auguriamo quindi che il fluido segno di Anna Maria Tani prosegua ed ispiri altri artisti e riviste d’arte.
06/04/2014